La scuola non ama i fisici e i matematici in pectore

Un titoletto sul Corriere di qualche settimana fa ha at­tirato la mia attenzione, su­scitando anche un po’ di stu­pore: «Giovani in fuga dalle scienze? Ap­passioniamoli». Vuoi vedere – mi son detto – che il vento è cambiato in questi ultimi anni e che gli studenti hanno vol­tato le spalle alle scienze per gettarsi ani­ma e corpo su discipline ritenute più fa­cili, quali la filosofia o le arti, oltre a quelle già di gran moda e meglio spen­dibili sul mercato del lavoro, come le lin­gue moderne? Nulla di tutto ciò. L’arti­coletto, in realtà, si occupava delle due discipline scientifiche forse più prossi­me alle scienze umanistiche: la fisica e la matematica. Il presidente dei profes­sori di matematica e fisica elvetici, Clau­dio Beretta, ha lanciato l’allarme: sem­pre meno giovani, in Svizzera, scelgo­no la carriera scientifica. Eppure, sotto­linea Beretta, «molti di loro riuscireb­bero tranquillamente a frequentare il Politecnico. E ne abbiamo bisogno: at­tualmente mancano circa 10 mila in­gegneri nel Paese». Così, continua il tra­filetto, «Il Gruppo per il promovimento delle scelte di curricoli scientifici si pre­figge di indirizzare i giovani alla carrie­ra scientifica ‘appassionandoli’», so­prattutto attraverso l’organizzazione di «tre-quattro conferenze annue nei licei per presentare personalità di spicco del mondo scientifico».
C’è qualcosa che non quadra. Lascia­mo perdere per ora il discorso sulla ma­tematica. La fisica fa parte delle disci­pline fondamentali del liceo, costituisce un’opzione specifica – fisica e applica­zioni della matematica, peraltro scelta da un significativo numero di studenti – ed è anche materia delle opzioni com­plementari. L’anno scorso gli studenti che frequentavano i licei cantonali era­no quasi 3.600, di cui oltre 700 in zona maturità. Abbiamo quindi 700 studen­ti che, nel corso dei quattro (o cinque…) anni del liceo si sono sciroppati parec­chie ore dedicate ai principi della mec­canica, all’energia e alle forze. Una par­te di loro, facile immaginarlo, sarà sta­to felice di abbandonare l’inquietante materia dopo la terza liceo; altri, per contro, l’avranno scelta come opzione specifica e/o complementare: vogliamo azzardare qualche centinaio, per spe­rare che gli emuli di Einstein non siano così rari come quelli che scelgono lo stu­dio del greco? Purtuttavia il presidente dei professori di matematica e fisica ci fa capire che pochi studenti scelgono di continuare su questa strada al termine del liceo: così bisogna «appassionarli» con le conferenze dei grandi Maestri del­la fisica.
Ma non conveniva avvincerli durante gli studi, attraverso un insegnamento – appunto – affascinante? Cos’è: prima li malmeniamo per quattro anni e li fac­ciamo sentire dei poveri allocchi, e poi cerchiamo di recuperarli con le cara­melline? Siamo alle solite. Ha scritto Paola Mastrocola in un suo fortunato libro del 2004: «Ci vogliono Maestri in gamba; noi, quando uscivamo dalla le­zione di un Maestro, camminavamo per un bel po’ a un metro da terra. Dicia­mo che quel metro da terra fa la diffe­renza. Diciamo che forse questo con­traddistingue un maestro: ti contagia». E proseguiva: «… un insegnante che non insegna procura un danno davvero in­calcolabile al singolo allievo, e quindi anche all’intera società: condanna al­l’ignoranza». Io, che ho preso un sacco di botte dalle discipline scientifiche sin dalla prima ginnasio, non sono certo ben piazzato per criticare l’insegnamen­to delle scienze esatte e naturali. Eppu­re quell’allarme sui fisici sempre più ca­renti me ne dà lo spunto. Anni fa seguii una conferenza del prof. Tullio Regge, fisico e matematico assai noto. Parlò di cosmologia in termini scientifici e filo­sofici: seducendo la platea. Ma Tullio Regge è un Maestro. Forse anche l’inse­gnamento della fisica – ma non solo, ov­vio – richiederebbe un approccio più sensato e attraente, invece che sciocca­mente selettivo; prima di inventare test enigmatici per bastonare un bel po’ di studenti, converrebbe insegnare cos’è la fisica: physis, natura. Va da sé che il di­scorso vale per quasi tutte le discipline.

Articolo Corriere del Ticino, Fuori dall’aula, 28 ottobre 2011
di Adolfo Tomasini