Recuperare le basi del sapere

Confesso di non capire le argomenta­zioni di quel grande esperto di scuola Adolfo Tomasini, nella sua rubrica inte­stata «Fuori dall’aula» (21 settembre). Da un lato egli riconosce che ai tempi del Sessantotto la cultura «fu apostrofata col nomignolo di nozionismo, (…) per sco­prire qualche anno più tardi che chi ne è sprovvisto è un somaro».
Poi se la prende in un certo senso coi ci­pressi di Bolgheri (che fanno parte di una nota poesia del Carducci) e addirittura con Bach e Michelangelo, che secondo lui «servivano alla scuola per separare il grano dal loglio, l’aristocrazia dal volgo». Spezza naturalmente una lancia a favo­re di quegli orientamenti della scuola di oggi di cui siamo tutti imbevuti fino al­le midolla: «l’imparare a imparare» e «l’imparare a essere». Ma si accorge su­bito che comunque c’è il vuoto, e dopo qualche malcelata subliminale freccia­ta ai politici di ieri e di oggi, si chiede dubbioso se esista ancora «qualche mi­nuscolo spiraglio per ritrovare una scuo­la che formi cittadini consapevoli e, quin­di, colti e preparati». Ahimè, conclude infine sconsolato, la futura carenza di in­segnanti favorirà la descolarizzazione e «vorrà dire che le Tv e il web eduche­ranno le future generazioni».
Vogliamo tornare, come si suol dire, a bomba? Il problema cruciale rimane quello caratteristico dei giovani di oggi, non certo somari ma piuttosto sprovvi­sti di fondamentali conoscenze che non sono state date, e nemmeno più vengo­no previste da molti programmi scola­stici. Temo che con HarmoS sarà anche peggio, crescerà in maniera esponen­ziale la disaffezione alla scuola e alla cul­tura, la nostra società vedrà aumentare significativamente il numero degli emar­ginati. È cosciente di questo la galassia pedagogica, ne sono coscienti i suoi ac­coliti? Tutti questi eminenti e inavvici­nabili personaggi approvano? Disappro­vano? Sono intenzionati a leggere e ap­profondire qualche parere illuminante, per esempio gli scritti del celebre mate­matico francese Laurent Lafforgue, che riferendosi al degrado culturale parla apertamente di «débâcle» (disastro)? E in fin dei conti, si predispongono a met­tere in campo qualche opportuno rime­dio?
La verità è che la crisi attuale sta mo­strando in modo impietoso la panna montata di questo nostro Cantone in cui diminuì e fu combattuto il sapere, creb­bero arrivismo e speculazione, si mani­festarono inevitabilmente quei fenome­ni politici e sociali tipici del degrado cul­turale. Ci si vanta con speciale tronfiez­za del gran numero di studenti, nei licei, all’università, alla SUPSI, e Dio sa in qua­li altre neoscuole del futuro.
Poi inesorabilmente arrivano i drammi: ma il vero dramma iniziale è non padro­neggiare le cose semplici, la lingua ita­liana, il calcolo elementare, il ragiona­mento sorretto dalle conoscenze di ba­se, e non poter conseguentemente com­prendere le cose difficili imposte e inflit­te dal mondo di oggi. Vogliamo ricupe­rare l’essenziale, signor Adolfo Tomasi­ni? O lei ritiene che tutto ciò rappresen­ti un’anticaglia del passato, da estirpare mediante le teorie che sappiamo, come è avvenuto per i poveri cipressi di Bol­gheri e per il loro poeta, per quelle buo­nanime di Bach e Michelangelo e per tante altre nozioni neglette da coloro che vollero riformare la scuola, ben prima che il mercato e le meraviglie tecnologi­che ne seguissero l’orientamento?

Articolo Corriere del Ticino, 24 settembre 2011
di Franco Cavallero, Lugano