Il DFA alla SUPSI tra Stato e azienda

Il passaggio dell’ex Alta scuola pedago­gica alla SUPSI (DFA)? «Si può compren­dere possa non essere completamente ac­cettato nei corridoi di Palazzo», a causa della «sua cultura aziendale, della sua au­tonomia svincolata da certe logiche poli­tico-burocratiche». Lo afferma il diretto­re di questo giornale, nell’editoriale di lu­nedì scorso, rilevando anche che «se dal­l’esterno non vi saranno più sollecitazio­ni ambigue e inopportune dettate da mo­tivazioni e interessi non sempre cristalli­ni», «si potrà guardare al futuro del DFA con fiducia».
Giancarlo Dillena scrive poi che gli attriti in seno al DFA sono anche riconducibili al fatto che «in passato il DECS aveva un controllo diretto sulla “fabbrica dei doce­nti”. I quali, una volta diplomati ritornano oggi come ieri sotto la sua area di compe­tenza, come non manca di sottolineare so­vente l’attuale consigliere di Stato Berto­li». Mi si perdonino le lunghe citazioni in sede di premessa, cui seguono poche ri­ghe di conclusioni. Come consigliere di Stato sono giunto al DECS da pochi mesi e quindi a situazione già compromessa sul piano dei rapporti interpersonali all’inter­no del DFA; il fatto che vi siano stati dei collaboratori di questo Dipartimento rien­trati nella scuola è incontrovertibile. Da deputato ho votato con convinzione il pas­saggio dell’Alta scuola pedagogica alla SUPSI. La presunta querelle sollevata ora fra pertinenza del DECS o della SUPSI mi pare una forzatura ideologica che mette­rebbe a confronto il modello «aziendali­sta» con quello statale. Mi si permetta di dire che per me non è tanto importante trovarsi sotto l’egida del dipartimento o della SUPSI. È invece importante – sem­plicemente e solamente – che questa scuo­la funzioni. E formi correttamente e pro­fessionalmente il futuro corpo insegnan­te. Sul fatto poi che la conflittualità odier­na sia da attribuire agli ex sessantottini che occuparono la Magistrale a suo tempo, credo ci sia poco da dire: l’anagrafe ci di­ce che sono tutti o quasi in pensione. Sa­rebbe ora di mandare in pensione anche i fantasmi che quell’occupazione agita an­cora dopo oltre 40 anni.

Articolo Corriere del Ticino, 9 novembre 2011
di Manuele Bertoli, Consigliere di Stato

Risponde il direttore del CdT
Posso essere d’accordo con quasi tutto quello che scrive Manuele Bertoli. Se non c’è tensione fra modello «aziendalista» e modello «statalista» (leggi: CdA della SUPSI o apparati del DECS) tanto me­glio. E tutti siamo d’accordo sul fatto che il DFA deve innanzitutto «funzionare» (senza che nessuno metta sabbia negli ingranaggi). Quanto ai turbamenti ses­santottini di cui sembra soffrire ancora una parte del corpo docente, non è que­stione di anagrafe. Le malattie sessan­tottine sono infatti sopravvissute (e so­pravvivono) ben oltre i loro primi por­tatori (e non solo quelle). Quindi meglio vaccinarsi.
Giancarlo Dillena