DFA della SUPSI, occhio al parere degli studenti

Prendo a presti­to un’immagine che mi è cara da uno dei grandi scrittori italiani c o n t e m p o r a n e i , purtroppo recente­mente scomparso, Giorgio Giudici, ed è quella del calei­doscopio. Tutti san­no che cosa sia: un tubo di cartapesta con ad una estremità l’oculare e dall’al­tra una quantità di frammenti multi­colori, che danno luogo a forme diver­se ad ogni minima rotazione del tubo. È un gioco semplice e antico, che piace ai bambini come agli adulti, perché per­mette, con un invariato contenitore e contenuto, e con un semplice gesto, di ottenere immagini cangianti e di avven­turarsi in diverse interpretazioni. Per­ché uso questa immagine per parlare della SUPSI?
Per dimostrarvi come sia possibile per­cepire i problemi del DFA (Dipartimen­to formazione e apprendimento) par­tendo dalle medesime componenti – struttura, direzione, docenti, studenti – ma analizzate da prospettive diverse. Alcuni media si focalizzano solo sulla figura della direttrice, come fa regolar­mente anche un noto domenicale, che nell’edizione del 23 ottobre ha dedicato un’ampia pagina alla sua figura, oltre che alle scelte di direzione. Il Diparti­mento dell’Educazione della Cultura e dello Sport osserva invece attentamen­te ma da lontano, senza però poter in­tervenire. Non gestisce più il percorso formativo dei docenti da quando la vec­chia ASP (Alta scuola pedagogica) è sta­ta affidata alla SUPSI, con autonomia di gestione, di organizzazione interna e di assunzioni. Delegare senza un con­trollo è stato un errore, percepito come tale non solo da una parte del persona­le della SUPSI DFA, ma anche a livello politico: ne hanno parlato parlamenta­ri appartenenti a fronti politici distinti, un tempo favorevoli a questa scelta, ora fortemente dubbiosi sui risultati fin qui ottenuti; e ne ha parlato sulla stampa anche l’ex direttore Boris Janner, al mo­mento di congedarsi amaramente da una struttura ingiustamente additata come troppo provinciale, troppo poco universitaria. Eppure Janner, nell’ulti­ma parte del suo mandato, era stato promotore di iniziative di collegamen­to fra l’ASP, le varie sedi universitarie della Svizzera e l’USI proprio per incen­tivare la collaborazione, creare sinergie e non contrapposizioni; ed era stato an­che fautore di percorsi congiunti fra uni­versità e ASP al fine di accorciare di un semestre i due anni didattici che si ag­giungono ai cinque universitari, percor­si poi subito abbandonati dalla nuova direzione DFA, che forse vedeva minac­ciata la propria autonomia o giudica­va preoccupante il minor ricavo econo­mico. La prospettiva dell’attuale dire­zione del DFA è quella manageriale, che tende a far quadrare i conti, fra entra­te e uscite, insegnanti da assumere, tas­se da far pagare alle famiglie, percen­tuali da incassare dal Cantone. La mac­china contabile sembra ora funzionare alla perfezione. Sono però venute meno alcune premesse per una solida colla­borazione con le università, anche con la vicina USI. Basterà ricordare un con­corso indetto congiuntamente da USI e SUPSI, chiuso senza troppi commenti, quando l’ottima candidata giudicata vincente e proveniente dall’USI non era risultata gradita all’attuale direzione del DFA, che ha poi a sua volta aperto sin­goli concorsi interni e rimaneggiato l’or­ganico. Guardiamo ora ai docenti: non sono pochi quelli che hanno abbando­nato l’ASP già in prossimità di diveni­re SUPSI e quelli che si sono poi allon­tanati subito dopo. I nuovi docenti as­sunti hanno il dottorato richiesto, ma bisogna poi chiedersi se tutti hanno an­che la conoscenza del territorio, quel­l’esperienza sul campo che serve a far da tramite tra la formazione universi­taria e la scuola. Troppo spesso si sot­tovaluta il ruolo del docente formatore, ruolo difficile e importante e che non necessariamente passa dalla collezione di titoli di ricerca. Infine c’è il punto di vista degli studenti, di cui nessuno pur­troppo parla. Eppure su di loro si do­vrebbe concentrare l’attenzione di tutti, proponendo percorsi formativi di alto livello ma legati alla conoscenza delle peculiarità scolastiche del nostro terri­torio. Guardare il DFA dal loro punto di vista significa ripensare a: costi di iscrizione, durata degli studi, tipologia dei docenti formatori, prospettive di in­serimento nel mondo del lavoro. Signi­fica guardare alla SUPSI con uno sguar­do diverso, sicuramente positivo e pro­positivo. Ricordiamoci che gli attuali studenti del DFA saranno poi a loro vol­ta formatori dei nostri figli.

Articolo Corriere del Ticino, 3 novembre 2011
di Raffaella Castagnola, docente universitaria